Una bevanda è classificata come alcolica quando contiene alcol etilico, ovvero una sostanza chimica che viene assorbita nell'organismo dallo stomaco e dall'intestino, per poi entrare in circolo attraverso il flusso sanguigno.
L'alcol agisce rapidamente, legandosi ai recettori GABAergici, provocando uno stato di rilassamento muscolare. Per cui l'alcol esercita numerosi effetti farmacologici attraverso la sua interazione con vari neurotrasmettitori e neuromodulatori cerebrali e, tra questi ultimi, gli oppioidi endogeni svolgono un ruolo fondamentale nella gratificazione derivante dall'etanolo. L'alcol, quindi, interferisce con i meccanismi di funzionamento degli oppiacei endogeni, i quali sono strettamente legati alla trasmissione della dopamina nel percorso mesolimbico.
Tra i principali effetti provocati dall'assunzione di alcol etilico, vi è il rilassamento psicofisico, l'abbassamento dei freni inibitori, l'allungamento dei tempi di reazione psico-motoria, la maggior propensione a intraprendere comportamenti rischiosi, l'aggressività, la bassa capacità di giudizio e di decision making, le difficoltà di deambulazione e in generale di coordinazione motoria. Inoltre si può riscontrare un annebbiamento della vista.
A livello organico, a lungo termine l'abuso di alcol è correlato all'aumento della probabilità di sviluppare patologie cardiache, pressione arteriosa, ictus, tumori, coma, intossicazione, malattie epatiche e pancreatiche, carenza nutrizionali e sindrome di Korsakoff. Inoltre, sul piano cognitivo, può provocare anche deficit consistenti nel funzionamento della memoria a breve termine e nelle capacità attentive. Raramente si può incorrere nel delirium tremens (DT), una grave reazione all'astinenza da alcolici della durata di circa tre giorni, la quale comporta allucinazioni visive e talvolta anche convulsioni e sincope.
Un problema psicosociale connesso all'uso di alcol è il binge drinking, ovvero l'assunzione compulsiva e incontrollata di ingenti quantità di bevande alcoliche in un lasso di tempo breve. Questo fenomeno è notevolmente diffuso soprattutto nei più giovani. Da ricerche approfondite, emerge come i giovani che hanno mostrato un rapido aumento nella frequenza del comportamento di binge drinking (almeno due volte a settimana) corrano rischi maggiori nello sviluppare dipendenza da sostanze.
La cannabis è la sostanza stupefacente illegale maggiormente disponibile in tutta Europa ed il suo utilizzo è frequente soprattutto fra gli adolescenti ed i giovani adulti (Bastiani et al., 2013). I suoi preparati derivano dalla pianta femminile della Cannabis sativa e il principio psicoattivo della stessa è il tetraidrocannabinolo (THC), presente ad elevate concentrazioni nella parti fiorite.
Generalmente gli effetti negativi sulla salute indotti da questa sostanza vengono sottovalutati e considerati inferiori rispetto a quelli delle cosiddette droghe pesanti e, invece, a causa anche dell'elevata prevalenza del suo consumo, l'impatto dell'uso di cannabis sulla salute risulta significativo. Fra i molteplici effetti provocati dal THC, infatti, menzioniamo le difficoltà mnestiche (in particolare a carico della memoria di lavoro), difficoltà nell'apprendimento, rilassamento o euforia, ansia (che può sfociare in attacchi di panico), distorsione percettiva, depressione, paranoia, fenomeni di derealizzazione/depersonalizzazione, disinibizione comportamentale e, in casi rari, induzione della schizofrenia.
A livello dell'organismo, il principio attivo della cannabis provoca aumento dell'appetito, secchezza della bocca, arrossamento oculare, aumento della frequenza cardiaca del 20-50% in pochi minuti, tosse, difficoltà motorie, diminuzione della temperatura corporea, difficoltà sessuali. I fumatori cronici, inoltre, possono sviluppare bronchiti e dispnea.
La cocaina è il principale alcaloide che si ottiene dalle foglie della pianta di coca (Erythroxylum coca), la cui diffusione si localizza nel Sud America. Infatti le foglie di coca non vennero utilizzate in Europa fino al 1855, quando venne isolato l'ingrediente attivo. Inizialmente gli estratti di questa pianta furono utilizzati e prescritti da molti medici per la cura di problemi digestivi, nevralgia da alcolismo e deflessione dell'umore, ma ben presto gli studi fecero emergere i danni all'organismo provocati da questa sostanza, che si configura ad oggi come lo stimolante naturale conosciuto più potente che esista.
Il rinforzo della cocaina è mediato in parte attraverso un'azione diretta sui recettori dopaminergici mesocorticali, ai quali viene inibito il reuptake (ricaptazione) della dopamina.
Le ricerche suggeriscono che gli utilizzatori di psicostimolanti e soprattutto di cocaina apprezzino le proprietà energizzanti di quest'ultima, in quanto permettono di superare gli stati di affaticamento ed esaurimento associati anche a sintomi depressivi. In alcuni casi, però, l'uso di stimolanti conduce a sperimentare sentimenti di assertività, maggior autostima, maggior tolleranza alla frustrazione, rimedio alle sensazioni di vuoto e noia. Inoltre le persone con dipendenza da cocaina spesso condividono un consistente comportamento impulsivo, labilità emotiva, disforia acuta o cronica e disturbi nell'autostima, che precedono l'utilizzo della sostanza.
Gli effetti della cocaina prevedono un aumento delle prestazioni psicofisiche, maggiori capacità di concentrazione e resistenza, maggiore energia e tendenza a non percepire la sensazione di fatica, ipervigilanza, miglioramenti nella percezione dell'autostima e nella disforia. In generale, una delle maggiori conseguenze dell'abuso di questa sostanza è lo sviluppo di patologie comportamentali, come psicosi, paranoia, alterato stato di realtà e manifestazioni di pattern comportamentali ripetitivi e stereotipati. Tendenzialmente, però, quando questi effetti svaniscono, il consumatore di cocaina sperimenta un periodo di sintomi inclini alla depressione (fase down), fra cui anche mal di testa e perdita di sensi. Maggiore è la gravità ed il periodo di abuso, maggiore è anche la durata di questi sintomi secondari.
A livello organico la cocaina è associata ad un aumento del battito cardiaco e della pressione arteriosa, difficoltà respiratorie, ictus, cefalea, problemi gastrointestinali e ossei e, se assunta tramite inalazione, può provocare lesioni al palato ed al setto nasale, riniti croniche e perdita del senso dell'olfatto.
Secondo una recente stima, 1,3 miliardi di persone (circa un quinto della popolazione mondiale) fuma, e questo dato conduce a definire il tabacco come una fra le sostanze di abuso più comuni e diffuse in assoluto. Il tabacco però rappresenta un grave rischio per la salute e si valuta che circa la metà dei fumatori cronici morirà prematuramente per malattie connesse all'assunzione di tabacco, come le malattie cardiovascolari e polmonari, ictus e cancro. Inoltre, fumare sigarette rappresenta una delle dipendenze da sostanze più persistenti ed è paragonata alla dipendenza da cocaina. A tal proposito si è scoperto che è la nicotina presente nella foglia del tabacco ad indurre il ciclo della dipendenza. Infatti tale alcaloide agisce legandosi direttamente ad una sottotipologia recettori colinergici, ovvero i recettori nicotinici, presenti in molteplici regioni del sistema nervoso centrale e periferico. L'attivazione di questi recettori provoca modificazioni a livello delle funzioni cognitive, dello sviluppo neuronale, nonché vera e propria degenerazione neuronale.
Inoltre, riprendendo le considerazioni prima riportate riguardo agli aspetti genetici della dipendenza da tabacco, è emerso come la presenza del recettore dopaminergico D2, nell'espressione dei due alleli meno comuni TaqIA e TaqIB, sia molto più frequente nelle persone fumatrici rispetto alle non fumatrici e tale polimorfismo genetico è associato sia all'abuso di sostanze sia ai fenomeni dei sensation seeking e di novelty seeking. Questi risultati ad ampio spettro confermano la correlazione fra la dipendenza da tabacco e la dipendenza da altre sostanze, portando a considerare l'importanza di un vero e proprio trattamento per questa addiction, senza sottovalutarne il rilevante impatto a livello cerebrale, psicosociale e sulla salute dell'organismo.
L'eroina è una sostanza facente parte degli alcaloidi oppiacei e fu ricavata la prima volta nel 1898 dalla morfina. Inizialmente considerata un potente farmaco analgesico e sedativo, ben presto emerse la sua elevata capacità di indurre dipendenza, maggiore rispetto agli altri oppiacei, e così nel 1917 fu dichiarato illegale l'utilizzo di oppiacei (ad eccezione per alcune situazioni mediche).
Come affermato, l'eroina è una droga che provoca facilmente dipendenza e per questo il suo impatto sulla società è devastante.
L'eroina, essendo un oppiaceo, svolge un'azione depressiva sul sistema nervoso centrale e quindi ha effetti sedativi; inoltre provoca forti sensazioni di piacere, vampate di calore, amplificazione degli stati interni e l'abbassamento della soglia del dolore.
A livello organico conduce a problemi dentali, malattie epatiche e renali, ascessi, cambiamenti neurochimici, sintomi di astinenza particolarmente intensi e prolungati nel tempo, ictus, mielopatia e, se assunta tramite endovena, tromboflebite ed esposizione a infezioni batteriche e virali. Inoltre, a livello cellulare, sono state riportate anomalie nei sistemi di trasduzione dei segnali e cambiamenti di densità di alcuni recettori cerebrali.
Assumendo eroina regolarmente, dopo soli pochi giorni il soggetto aumenta la sua tolleranza alla sostanza ed i sintomi di astinenza diventano più acuti. Questi comprendono agitazione, ansia, sudorazione, aumento della frequenza respiratoria, dopodiché, con il passare del tempo, si manifestano spasmi muscolari, aumento della pressione sanguigna, vomito, febbre, dissenteria, perdita di appetito e di peso. Nonostante la particolare intensità e pervasione dei sintomi di astinenza da eroina, il pericolo più importante legato all'assunzione di tale sostanza è il rischio di overdose, ovvero il consumo di una dose eccessiva, che provoca l'arresto respiratorio e spesso la morte.
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